Ho davanti a me la prima pagina del quotidiano LA STAMPA ed il titolo in prima pagina che maggiormente cattura è così fatto: “Cresce il numero dei Comuni che accolgono gli immigrati”. Bene, benissimo! Si parla quotidianamente di accoglienza, di integrazione. E come ci capiamo? Noi che parliamo l’italiano, a volte bene, a volte male, molte volte contaminato da dialetti. Poi, i più eruditi di noi sanno almeno una lingua straniera, chi il francese, chi l’inglese. Chi…chissà mai quale altra lingua. E loro? I migranti intendo. Ci capiamo? Gli insegniamo la nostra lingua? Oppure noi dobbiamo parlare la loro per andargli incontro? Una volta, fino a un pò di anni fa, da noi andava forte il latino, lingua da cui provengono le radici del nostro italiano. Chi sa qualcosa oggi di latino? Boh! E i dialetti, quanti sono? Ogni regione, ogni provincia, a momenti da paese a paese uno diverso dall’altro. Ma chi lo parla ancora il dialetto? Nell’epoca della globalizzazione, in cui Internet regna sovrano, dove le comunicazioni avvengono attraverso congegni elettronici che, da una parte sono il frutto di un progresso inevitabile, ma dall’altra ci tolgono il piacere di comunicare guardandoci negli occhi, parlare del dialetto può sembrare anacronistico.
Non è così: il dialetto fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l’inevitabile segno che ci fa dire che apparteniamo ad un certo luogo, ad un certo tempo e che ci identifica e ci colloca nel posto preciso della nostra storia personale. Il dialetto rappresenta la nostra etichetta, le nostre radici, la nostra carta d’identità. Il dialetto inteso come lingua è il mezzo che identifica tutto: i soprannomi, i rioni, le località.
Il dialetto dà nuova forma alle parole, riesce a rendere l’idea prima ancora di ridurla in termini precisi, a volte armonizza e a volte indurisce.
Il dialetto è l’espressione di un popolo, è come un abito fatto su misura, è come una spugna che assorbe fatti, episodi, luoghi, persone e che restituisce fatti, episodi, luoghi, persone con profilo e identità precisi, ma soprattutto con un’anima.
E’ assodato che il dialetto possiede una forza espressiva e descrittiva genuina che scaturisce dal suo verismo; lo strumento che meglio esprime sentimenti, valori, culture, speranze, con cui ripercorrere i sentieri della memoria drasticamente inquinati dalla frenetica vita moderna.
Penso che ormai il dialetto è tenuto in vita solo dalle compagnie teatrali locali. Diventa sempre più difficile sentire un giovane parlare l’idioma della sua terra. Forse al Sud, lì sono ancora radicati al territorio e preservano i dialetti. Al Nord sento solo le persone anziane parlare in dialetto. Ciao
E credo che sia un vero peccato perdere l’uso del dialetto. Per un senso di tradizione che viene sempre meno.
Ciao ?e buona giornata
Sono del tutto d’accordo. Lo parlo in casa, anche con i miei figli, proprio nella speranza che non se ne perda la memoria