Stasera mi sono dedicato una passeggiata lungo le vie del borgo di Varzi.
Il borgo di Varzi, che in dialetto varzese si pronunzia Vörs, si trova nell’Oltrepò Pavese, in Lombardia. Posizionato al centro della Valle Staffora, le sue origini sono probabilmente Liguri (il nome contiene la radice var che, considerando i fiumi liguri Var e Vara, dovrebbe significare fiume). Presso Varzi sorgeva l’antica pieve di San Germano. Come il resto della vallata, cadde sotto il potere dei Malaspina, che ne ebbero regolare investitura nel 1164. Il diploma imperiale non cita ancora Varzi, ma i castelli circostanti.
Probabilmente il paese cominciava a svilupparsi grazie ai traffici dei mercanti che, percorrendo la via del sale, dalla pianura risalivano la valle per raggiungere la costa ligure attraverso i passi del Pénice, Brallo e Giovà. La fortuna di Varzi iniziò nel XIII secolo. Le successive divisioni ereditarie tra i Malaspina determinarono nel 1221 la separazione tra i Malaspina dello Spino Secco (in Val Trebbia) e dello Spino Fiorito (in Valle Staffora). Questi ultimi si divisero nel 1275 tra altre tre linee.
Il marchese Azzolino, capostipite della linea di Varzi, vi prese dimora e vi fece costruire il castello, fortificando così il borgo e facendone il capoluogo di una vasta signoria. Essa comprendeva, oltre che gran parte del comune di Varzi attuale anche il borgo di Menconico e parte di quelli di Santa Margherita di Staffora e di Fabbrica Curone. Nel 1320 i Malaspina diedero a Varzi gli Statuti, compilati dal giurisperito cremonese Alberto dal Pozzo.
Da queste divisioni ereditarie ne derivò inevitabilmente la rovina del marchesato: non solo dovette riconoscere la supremazia del Duca di Milano, che prese a disporne a proprio piacimento malgrado i diplomi imperiali, ma finì per cadere sotto il dominio di un estraneo, il conte Sforza di Santa Fiora, che dopo aver ottenuto le investiture del terziere di Menconico in cui si era estinta la locale linea dei Malaspina, a poco a poco acquistò la maggior parte delle quote feudali, finendo per essere riconosciuto unico feudatario di Varzi. Ai Malaspina rimaneva solo il titolo di Marchesi. La progressiva rovina dei Malaspina comunque non diminuì la prosperità di Varzi, che rimase il centro dei commerci della valle e uno dei maggiori centri dell’Oltrepò. Nel XVIII secolo, passato ai Savoia nel 1743, fu sede di uno dei tre cantoni giudiziari in cui era divisa la provincia dell’Oltrepò. Il regime feudale ebbe termine nel 1797. Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1859 entrò a far parte nel Circondario di Bobbio e quindi della Lombardia. Nel 1923 venne smembrato il Circondario di Bobbio e suddiviso fra più province. Dopo l’8 settembre del 1943, come in tutto l’Oltrepò Pavese, si formarono le prime bande partigiane e Varzi divenne, sul finire del settembre del 1944, il centro di una zona libera (le cosiddette ‘repubbliche partigiane’). Rimase territorio libero fino al 29 novembre.
Questo paese fa parte del territorio culturalmente omogeneo delle Quattro province (Alessandria, Genova, Pavia, Piacenza), caratterizzato da usi e costumi comuni e da un importante repertorio di musiche e balli molto antichi. Strumento principe di questa zona è il piffero appenninico che accompagnato dalla fisarmonica, e un tempo dalla müsa (cornamusa appenninica), guida le danze e anima le feste.
Meritano sicuramente una visita il Castello dei Malaspina, la parrocchiale di San Germano e quella di San Colombano.
Si ricorda inoltre che poco distante da Varzi passa l’antica Via del Sale Lombarda, un tracciato che permetteva il commercio del sale mettendo in comunicazione Pavia con Genova. Attraverso questa via transitavano le merci provenienti dal settentrione, soprattutto lana e armi, per raggiungere il porto di Genova dove, per il viaggio di ritorno veniva caricato il sale, materiale prezioso di difficile reperimento nei territori lontani dal mare, indispensabile per la conservazione degli alimenti e la concia del cuoio. La via seguiva tutta la valle Staffora (provincia di Pavia), percorreva il crinale che divide la val Borbera (provincia di Alessandria) dalla val Boreca (provincia di Piacenza) per scendere in val Trebbia. Il percorso da Pavia si dirigeva verso sud, su strade e mulattiere, toccando Voghera, si inoltrava lungo la valle Staffora, passando per Varzi, risaliva il fondovalle fino al paese di Castellaro, saliva al monte Bogleglio (1492 m), passando sul crinale per il monte Chiappo (1700 m), il monte Cavalmurone, il monte Legnà, il monte Carmo e il monte Antola (1597 m) discendeva a Torriglia in val Trebbia, punto di incontro con i tracciati piemontesi ed emiliani e da lì raggiungeva agevolmente Genova attraverso il passo della Scoffera.
Dopo la caduta dei Longobardi a opera di Carlo Magno, il Sacro Romano Impero costituì i Feudi imperiali con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare; assegnò questi territori a famiglie fedeli che dominarono per secoli questi feudi. Le valli Staffora, Borbera, Curone, Trebbia, Aveto, Magra, erano sotto il dominio della famiglia Malaspina che, in accordo con la città di Pavia, garantiva il flusso delle merci attraverso il suo territorio riscuotendo relative tasse e gabelle e garantiva la sicurezza delle merci e la protezione dei viandanti. L’apertura di questa via per il mare fece diventare il paese di Varzi un centro commerciale di grande importanza fornito di negozi, magazzini, depositi e protetto da un castello cinto da mura. Il trasporto dei sacchi di sale veniva effettuato a dorso di mulo, poiché le strette e disagevoli mulattiere che si inerpicavano sui pendii non permettevano certo il passaggio di carri. Una rete con punti di tappa, offriva ad uomini ed animali, alloggio e stallazzo per questa lunga traversata. Oggi la via del sale, perso il suo valore commerciale, è divenuta meta di escursioni e trekking, snodandosi in un ambiente di particolare interesse naturalistico.