Dalla farina ottenuta dal grano San Pastore si produce il ‘Pane Grosso di Tortona’. Presentato ufficialmente domenica 23 luglio 2017 e benedetto dal Vescovo, Mons. Viola, nel corso di una Santa Messa celebrata in Duomo a Tortona. Così, dopo il montebore, il timorasso e il mais ottofile, è stato recuperato e valorizzato un altro prodotto tipico delle nostre terre, il ‘pane grosso’ ottenuto dalla farina del grano ‘San Pastore’. Il Pane Grosso di Tortona è un pane 100% San Pastore con lieviti madre anch’essi di San Pastore. Il nome deriva dalla moneta che il comune di Tortona fu autorizzato a coniare da Federico II, tale e tanta era l’importanza della città come granaio dell’impero.

Pane grosso di Tortona

Il Grosso di Tortona è un pane di circa un chilo di forma rotonda con impresso un taglio a simboleggiare la stella a otto punte che porta a convergenza sia la stella impressa sulla moneta sia quella dello stemma vescovile della Diocesi di Tortona. Pochi giorni or sono, durante la presentazione del Pane Grosso a Novi Ligure, il direttore del Co.Na.P San Pastore Luca Benicchi si è detto convinto che riunire in un prodotto le due più importanti città del territorio non possa che essere di buon auspicio per un futuro radioso dello stesso, sottolineando come l’alleanza strategica con i consumatori e il consorzio (creatasi per il Pane Grosso di Tortona) continuerà anche con il Pane Grosso di Novi. Ha poi ricordato che l’originale è solo quello che si trova nelle rivendite con la vetrofania “Qui il Grosso di Tortona” e quello 100% San Pastore che identifica i prodotti riconosciuti dal Co.Na.P. San Pastore che ad oggi sono Il Pane Grosso di Tortona, il Monfrà il panino Piemontese dello Chef Domenico Sorrentino il Bambino di Natale e da oggi il Pane Grosso di Novi.

PREPARARE IL PANE, UNA VOLTA
Il pane, il primo alimento preparato dall’uomo, è da sempre il simbolo del soddisfacimento dei propri bisogni vitali. I cristiani nella loro prima preghiera, invocano il nostro pane quotidiano e la preparazione un tempo era quasi un rito, soprattutto nel mondo contadino. Nel tortonese veniva preparato nel forni a legna costruiti con la pietra di Mombisaggio, che aveva il pregio di mantenere una temperatura costante durante la cottura
Una giusta temperatura era ottenuta bruciando le fascine di tralci raccolti dopo la potatura delle viti e messi a seccare in cascina (ar pugai). E quando il forno era caldo, venivano tolti i carboni con uno speciale attrezzo e la cenere setacciata era poi usata dalle massaie per il bucato. Il pavimento del forno veniva pulito con una scopa speciale, con un ciuffetto folto, bagnato e fumante che il fornaio maneggiava con abilità.
La preparazione avveniva una volta la settimana e quando il pane veniva portato in casa diffondeva quel profumo e quella fragranza forse oggi incomprensibili da chi non ha provato quelle semplici ma indimenticabili emozioni, C’erano case che avevano il forno proprio per il consumo familiare ma più spesso nei paesi c’era a disposizione un forno pubblico, da cui il toponimo, o la denominazione popolare di ‘Via del forno’ o ‘strada del forno’, sopravvive ancora in qualche paese.
Invece in città il pane era prodotto nei forni dei panettieri, ma non raramente era di qualità inferiore. Questo, almeno, in passato. E le autorità cittadine erano costrette a compiere frequenti ispezioni per controllare, oltre i prezzi, la qualità delle farine. E ad emettere precise e severe disposizioni al riguardo, Risultava, infattì, che anche il primo alimento dell’uomo , come era il pane, era soggetto a manipolazioni e frodi.
Infatti panettieri e fornai, a farine di buon frumento, non raramente frammischiavano farine “di grano volpato o pieno di gittaioni o di logli”, oppure farine “di fagioli, di veccia bianca o di consimili civaie”, per cui era messo in vendita o consegnato dai garzoni “un pane malcotto, pesante, di colore bigio, di spiacevole odore e di sapore disgustoso”.

IL PANE DI NAPOLEONE
D’altronde la distribuzione gratuita del pane ai poveri, nei secoli passati. era una consuetudine assai praticata in occasione di ricorrenze religiose e, soprattutto, civili. Bastava, ad esempio, una vittoria di Napoleone o un onomastico in casa reale, o un grande evento politico per assegnare, nel corso di una cerimonia, il pane ai poveri.
Negli anni dell’occupazione napoleonica mensilmente il maire esponeva il calmiere dei generi alimentari, in primis del pane, che doveva essere “pane bianco di puro formento, ben purgato da ogni cattivo seme ed in ispecie da loglio”. Micconetti, navette e piccole navette costavano soldi 2 per libra, peso tortonese, mentre i ‘grissini piccioli’ dovevano essere venduti a soldi 2.4 la libra.

IN TEMPI DI GUERRA
Il secolo appena passato, che ha portato con sé due guerre mondiali, ha portato anche miseria e fame e, quindi, un’affannosa ricerca di farina e di pane.
Una disposizione di Roberto Bidone, sindaco di Tortona, informava che a partire dal 6 aprile 1918 le persone residenti nei sobborghi della città e negli altri comuni della provincia, “le quali nei giorni di mercato affluiscono agli alberghi e nelle trattorie di questo capoluogo, dovranno portare con sé il pane per i loro pasti”. Immaginiamoci chi si trovava in guerra… Il soldato Andrea Vaccari di Sant’Agata Fossili, in una lettera dalla prigionia in Cecoslovacchia (marzo 1918), riportata da Eraldo Canegallo, scriveva ai famigliari: “ Vi faccio sapere che sto bene, ma pero mi fa bisogno molto pane cosi vi prego di mandarmi un pacco per mezzo della Croce Rossa contenente pane, e uno a vostra disposizione [discrezione ] con pane, sapone e sigari, ma pane…”
Non meno difficili furono gli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando il pane era razionato ed acquistabile solo con la tessera annonaria. Inevitabile, quindi, che fiorisse il mercato nero, molto attivo soprattutto tra la nostra campagna e il Genovesato dove si ricercavano generi alimentari locali (farina di grano o di mais, uova, vino) ed in cambio portavano da noi olio, caffè, sapone…

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