Dino B. Bergaglio, recentemente scomparso, nel suo ultimo libro BUONO COME IL PANE ha descritto bene come era il Natale d’altri tempi. In particolare a Tassarolo, ma credo un po’ ovunque. Io, almeno, lo ricordo così, anche negli anni della mia giovinezza…
Il Natale della nostra gioventù era decisamente differente da quello odierno. In modo particolare a Tassarolo, in pieno periodo bellico 1940-45, quando non esisteva nessuna vetrina illuminata e addobbata a festa, né luminarie per le vie del paese e nemmeno altoparlanti a diffondere i canti natalizi nei giorni che precedevano la sacra ricorrenza. Non mancavano però le novene, celebrate in forma solenne la sera dopo cena e seguite, con devota partecipazione, la quasi totalità della popolazione. Massiccia la presenza delle pie donne tra le panche e le sedie della navata dove si cantava, storpiando il latino, il Regem venturum Dominum, venite , adoremus, in risposta ai cantori del coro, dietro l’altare, che intonavano il Canto delle Profezie, con massacro del latino altrettanto efficace. Ma il tripudio dei canti raggiungeva l’apice quando si dava inizio all’inno sacro: En clara vox redarguit, Obscura quaeque personans, dove le voci più possenti perforavano le proverbiali sette pareti (i bugiova ir sàte miròje). Concludeva la celebrazione la solenne benedizione, impartita dal parroco, al quale il sacrista aveva posto sulle spalle l’ampio piviale, il paramento sacro tutto sfavillante di pagliuzze dorate, dall’alto della predella, con l’ostensorio contenente l’ostia sacra, mentre i chierichetti, ai piedi dell’altare, facevano largo uso di incenso nel turibolo.
Alla vigilia, e nei giorni precedenti, la preparazione casalinga del piccolo presepe con muschio che raffigurava l’erba, un pezzo di specchio rotto a fungere da laghetto e il ruscello che vi si immetteva, rappresentato da striscioline di carta stagnola. Le casette di sughero posizionate su rocce, realizzate con carta da pacchi, appositamente macchiate, e statuine in gesso o cartone, di pastori, pecore e animali vari, in cammino verso la sacra famiglia con il pargoletto tra il bue e l’asinello al riparo di una sgangherata capanna, completavano lo scenario della rappresentazione natalizia.