Garbagna appare come un paese di forte impronta medioevale, con i resti del Castello Fieschi, la Piazza Doria con l’Oratorio di San Rocco e la Contrada, vicolo stretto e sinuoso, cuore storico della vita del paese, su cui si affaccia la Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista. L’impronta medioevale del paese emerge fin dalle pagine del “Registrum”, documento del 1441, dove Garbagna viene descritta appunto con il castello, la pieve, le case con o senza portico, il mulino con l’acquedotto, il forno comune, il cimitero, il frantoio delle olive e l’ospizio per ospitare poveri e pellegrini. L’architettura del centro storico richiama alla mente i borghi liguri; alte case addossate le une alle altre, vie strette e caratteristiche, archi, portali scolpiti, qualche palazzo, come quello dei FieschiGattiAlvigini e quello dei Doria, dove risiedeva il Commissario del feudatario. Al centro della Piazza Doria ci sono quattro maestosi ippocastani che durante l’estate creano una gradevole ombra per chi sosta sotto di essi a chiacchierare e ad ammirare questo “salotto” naturale e in mezzo a queste quattro piante c’è un arco di pietra arenaria con il pozzo pubblico.

A lato della Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista si trova la piazza più antica del paese nota come “a piàsa ed l’ùlmo”, la piazza dell’olmo, dove un tempo sorgeva un olmo secolare. Era proprio “in platea sub ulmo”, come si legge nelle antiche scritture, che si sottoscrivevano accordi e avvenivano investiture e transazioni. Esiste ancora oggi una grossa pietra che è detta la pietra dell’olmo e nei primi del novecento, i carradori del paese, si servivano di quella storica pietra per modellare le ruote dei carri, come è riscontrabile ancora oggi dai segni sulla pietra stessa. A dominio del paese sorgono i resti del Castello con una torre quadrata e antiche mura. Oggi la torre è stata ripulita e illuminata ed è meta di una bella passeggiata. Il paese di Garbagna attualmente è rinomato per l’artigianato del mobile, l’antiquariato, la gastronomia e la frutticoltura.

Storia di Garbagna

Garbagna appare per la prima volta nella storia il 29 marzo 945 quando Ugo e Lotario, re d’Italia conferiscono beni nel borgo di Garbagna alla Contessa Rotrude e a suo figlio Belisario. Alla fine di quel secolo e precisamente nel 979 , l’imperatore Ottone II conferma alla Chiesa di Tortona e ai suoi Vescovi il possesso dei “Castelli” di Voghera e di Garbagna. Secondo invece l’ipotesi del Pertica, il paese sarebbe sorto intorno al suo castello , costruito in funzione antibarbarica a difesa di Libarna Romana. Dalla signoria dei Vescovi di Tortona , che dovette durare fino al 1447 , Garbagna passò alla famiglia Fieschi di Genova che riconosceva la loro indipendenza feudale da Francesco Sforza, Signore di Milano. I rapporti tra Sforza e i Fieschi si guastarono nel 1470 e Garbagna passò ad Alessio Albanese ma nel 1485 ritornò nuovamente a Carlo Fieschi. Nel 1575 Gian Andrea Doria ebbe la piena e assoluta signoria dei suoi feudi e a testimonianza di ciò gli fu concesso il diritto di impiantare una zecca e a Garbagna fu data concessione di battere i “luigini” a Domenico Cartasegna del luogo di Garbagna, ma la cosa non ebbe seguito. Napoleone Bonaparte mise fine ai privilegi feudali e così il dominio dei Principi Doria (ora Doria Pamphilj Landi ) su Garbagna finì. Nell’agosto del 1797 le popolazioni di questi paesi decisero l’unione con la Repubblica di Genova mentre nel 1815 , con il trattato di Vienna, il territorio di Garbagna entrò a far parte del Regno di Sardegna. La nuova organizzazione amministrativa nata nel 1818 prevedeva Garbagna separata dalla Liguria e unita al Tortonese, con Avolasca, Casasco, Dernice, Sorli e Vargo.

Il paese di Garbagna si raccoglie in gran parte attorno alla contrada, la via dove una volta si concentravano la totalità delle attività commerciali in caratteristiche botteghe che si aprono sulla strada con portoni a due a ante, una come porta e l’altra come finestra, ingresso e vetrina.


È però la piazza Doria il “salotto buono” del paese. Al centro quattro grandi ippocastani che con la loro ombra spandono il fresco nelle giornate afose. Le panchine posizionate sotto sono generalmente occupare dagli estimatori di questa gradita ombra, in genere pensionati o ex emigranti ritornati al paese. Al centro c’è un arco di pietra arenaria residuo di una torretta in mattoni dove trovava posto una pompa azionata da una gran ruota metallica. L’acqua, che ne scaturisce, per gli abitanti del luogo è la migliore del mondo anche se un cartello avvisa che quest’acqua miracolosa non è potabile.
Verso sera quando il sole declinante tra il Ronzone e il San Vito filtra sotto i rami degli ippocastani e scaccia l’ombra verso le strade del Castello, gli ospiti delle panchine sono costretti a trasferirsi sugli scagni di granito, nell’angolo della piazza.
Li chiamano gli scagni degli uccelli morti per via dell’età media degli ospiti, tutti uomini si suppone appagati ed usi a parlar, per pura accademia, di donne con lo stesso distacco con cui parlano di coltivazioni o alberi.
Le storie raccontate sono storie di ieri, di fatti narrati a più voci legati alla sopravvivenza di questo o di quel personaggio.
Come la storia del San Vito salito agli onori della cronaca negli anni trenta per un preteso caso di spiritismo. Si dice che a causa di una ragazza che avrebbe commesso sacrilegio, gli spiriti scatenati si sarebbero messi a tirar sassi.
Accorsero cronisti da mezz’Italia, folle di curiosi e ma anche di burloni. Si ricorse persino all’esorcista con dubbiosi risultati ma alla fine gli spiriti si placarono.

Ringrazio l’amica Nadia Fantone di Garbagna per avermi ispirato questo post dopo avermi passato il materiale.

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