Stamattina ho fatto quattro passi per le vie del centro a Novi Ligure. Che poi le vie del centro sono due: via Girardengo e via Roma. Sono rimasto colpito dalle serrande abbassate, non perchè fosse giorno di festa. Dalle vetrine oscurate da pezzi di carta incollati, non perchè ci fosse il sole. Attività che chiudono dopo anni o anche dopo qualche stagione. Un lento, inesorabile declino del tessuto commerciale cittadino. Novi Ligure ma non soltanto, se andate a Tortona o Alessandria è la stessa cosa che vi trovate dinanzi agli occhi. Soltanto che Novi Ligure deve, anzitutto, fare i conti con qualcosa di più grande ancora: l’Outlet di Serravalle Scrivia. A due passi.
I negozi e gli esercizi che possiamo chiamare di vicinato – non essendo le nostre cittadine grandi metropoli – più di qualunque altro tipo di attività, giocano un ruolo fondamentale di presidio sociale e di valorizzazione sostenibile del patrimonio delle nostre cittadine e per i paesi minori, dei nostri borghi, dei nostri centri storici. Le botteghe ci rendono il piacere di vivere con altri e per altri, offrendo, oltre ai servizi di vendita, necessari alla comunità, anche spazi per incontrarsi, dialogare, stare bene insieme. No, non mi sono perso nella memoria, anche se questo pensiero rimane molto legato ad un tempo che fu. La desertificazione commerciale non è un problema dei soli commercianti, ma di tutti, in quanto contribuisce al degrado delle città che, spesso, sfocia in un aumento di insicurezza generale.
La forza del commercio di vicinato sta nel suo legame con il territorio e nella sua capacità di farsi riconoscere dai consumatori.
Il problema è che ci stiamo abituando alla vista, osservando dall’esterno e ci scoraggiamo ad iniziare una nuova attività, nel caso di nuove aperture. Chi può fare qualcosa? Forse le Amministrazioni locali o il Governo centrale abbassando le tasse (forse un sogno)? O forse non c’è rimedio a tutto ciò?