Spulciando tra scritti di un certo interesse, mi sono imbattuto su un pezzo messo giù dall’ottimo Armando Bergaglio circa la “Buona mano”. Chiederete: cos’è? Il dizionario Garzanti dice: buonamano, cioè mancia. Ed ecco il racconto.
Oggi la chiamano mancia, un tempo era la ‘buona mano, un’espressione carica di significato, ma che oggi sopravvive faticosamente nel nostro dialetto, Non si tratta, quindi, di un costume (o malcostume) attuale. Veniva praticato a Tortona già oltre due secoli fa. Questo spiega perché tale comportamento – esecrabile ed esecrato dagli stranieri, poco gradito, anche se sollecitato in Italia – sia oggi ancora duro a morire. Veniamo ai fatti. Il 24 maggio 1761 si recavano ad Alessandria i signori Barone Alberto Guidobono Cavalchini Garofoli, il Marchese Giuseppe Luigi Passalacqua di Villalvernia e il dottor Gerolamo Ricci e con due servitori erano stati deputati dalla città di Tortona per discutere e definire, una volta per sempre, i contestati confini tra i due comuni, una lunga vertenza alla quale era interessata anche la Comunità di Sale, allora appartenente al Ducato di Pavia. Una prima sentenza dell’agosto 1731 non aveva sufficientemente chiarito i termini della questione. Quindi si susseguirono per anni incontri e sopralluoghj (numerosi quelli alle cascine Ghilina, Urbana e Viscarda e ad una non meglio identificata “all’ara (=aia) del Pattarello)” per la definizione del punto di incontro e di confine dei tre comuni.
E per eseguire il mandato la delegazione tortonese dovette portarsi ad Alessandria. In proposito ho reperito una nota di spese per la trasferta ad Alessandria a carico della città di Tortona cui si accennava sopra. Ad Alessandria i tortonesi, dopo i previsti incontri con i colleghi alessandrini e con l’intendente, si recarono all’osteria per il pranzo, per il quale furono spese lire di Piemonte 12, “compresa la buona mano ai camerieri”. Poi il viaggio. “Al vetturino Peretta che con quattro cavalli ci ha condotti ad Alessandria e ricondotti a Tortona con sua vettura, e buona mano in moneta di Piemonte, lire 24 e soldi 18 e denari 8”.
Il 15 luglio successivo il Barone Garofoli col medesimo dottor Ricci ritornava ad Alessandria per consegnare “le scritture de’ confini della città di Tortona” al signor Intendente Generale, come era stato da questi ordinato. In quell’occasione furono spese per il pranzo lire di Piemonte 6, mentre al mastro di Posta Marchelli “per sua condotta e ricondotta” furono pagate lire 15 di Piemonte “e lire 4 di buona mano al postiglione, in tutto pagato di Piemonte lire 19”. Inoltre tre lire andarono all’oste della Croce Bianca “per nolo di un cavallo, giornate n° 3, servito per i confini”. La ‘Croce Bianca’ è una locanda che ha una presenza secolare in Tortona. Ancora nell’Ottocento era situata a Porta Alessandria a lato dell’albergo Universo, tra la Farmacia e Piazza Malaspina.
Il conto presentato all’amministrazione comunale di Tortona dal Barone Garofoli, capo delegazione, ascendeva complessivamente a lire di Piemonte 64, soldi 6 e denari 8, equivalenti a lire di Milano 97 e 8, buona mano compresa.
Se permettete una citazione personale, da piccolo ricordo che andavo sovente a Tassarolo dove avevo parenti e c’era un prozio che premiava ogni mia visita con la “buona mano” e mi dispiaccio di non saperlo scrivere in dialetto locale.