La piccola scuola elementare pluriclasse della Barbellotta – frazione di Novi Ligure – oggi ospita un mobiliere. Una casetta gialla a un piano, un bonsai di scuola, costruita in campagna, lungo la statale tra Novi e Serravalle. E’ lì che ho imparato a leggere, scrivere e a far i conti a partire dal 1958. Due sole aule, una per la prima e la seconda classe, l’altra per la terza, quarta e quinta, con due insegnanti: la maestra Bottiroli – dolce, paziente, i capelli raccolti in uno chignon basso e il grembiule nero a coprirle gli abiti – e la maestra Zita da Pasturana, capelli ricci brizzolati, infagottata, nervosa, severa, tremenda, con la bava alla bocca quando sgridava Brunetto. Lui non faceva i compiti, quasi mai; era grande e grosso e si alzava alle 4 per pulire la stalla prima di venire a scuola. Per questo alcune volte si addormentava con la testa sul banco. Noi bambini lo canzonavamo, crudeli, senza capire la fatica di quel ragazzone ripetente. La maestra brandiva minacciosa una canna di bambù, la stessa che usava per indicare i paesi sulla carta geografica. Brunetto, testa bassa, arrossiva e i suoi riccioli apparivano ancor più neri. Veniva dal Veneto, da una località del Polesine che era stata alluvionata dal Po. Parlava un italiano stentato e quando scriveva sbagliava tutte le doppie, come spesso succede a chi è avvezzo al dialetto Veneto. 

Il mio compagno di banco era Pasqualino, detto “Pasqualino Marajà”, come la canzone di Domenico Modugno di quegli anni. Lui non gradiva essere chiamato così, ma tant’è noi non smettevamo. Oggi è identico ad allora, solo un po’ più cresciuto. Timido, garbato, l’anno dopo la sua famiglia si trasferì a Novi e lui proseguì la scuola alla Pieve. Da grande è diventato un ufficiale dei pompieri nella sede centrale di Torino. 

Come non ricordare anche Pierino, sua cugina Silvana e poi Luisa, Graziella, Luciana, Alessio e Fausto. 

Pierino vive ancora oggi nella stessa casa di campagna, detta “il Maschio”. Ha fatto il ferroviere e oggi, in pensione, coltiva le terre ereditate da suo padre Santino, morto cadendo da un albero delle ciliegie. 

Silvana ha sposato un salumiere; hanno spostato il negozio dalla città alla cascina di lei, detta “Boffi” dove producono e vendono salumi; i loro clienti godono di una gita in campagna, mentre fanno la spesa. 

Luisa, o meglio Suor Luisa, è medico geriatra. Viaggia in tutto il mondo. (…) 

Graziella, Luciana e Alessio erano cugini di origine Veneta, venivano dal Polesine. (…) 

Facevamo il tempo pieno, mattino e pomeriggio, con giovedì di festa. Mangiavamo alla refezione. Cucinava Giuditta, la mamma della bidella Erminia. (…) 

L’anno scolastico iniziava il 1° Ottobre, giorno dedicato a San Remigio, per cui ci chiamavamo “remigini” e il 4 Ottobre, San Francesco Patrono d’Italia, era vacanza. 

(…) Verso la metà degli anni ‘80, alla Barbellotta non c’erano abbastanza bambini e la scuola fu chiusa. Nando ed Erminia, ormai in pensione, non avevano più diritto di abitare in quelle due stanze. L’edificio fu abbandonato, il giardino si riempì di rovi; unico baluardo rimase un albero di caki imperituro. Mi venne un nodo alla gola quando un giorno vidi la casina gialla invasa da nomadi installati abusivamente: avevano rotto porte e finestre per entrare, sparso intorno una quantità di mercanzie. Disordine ovunque. Pareva una discarica. Che amarezza vedere quel bonsai di scuola, il tempio dove avevo imparato a leggere, scrivere e a fare i conti. 

Del testo qui riportato ne è l’autrice Marisa Giacobbe ed è tratto dalla pubblicazione: “Istantanee Ironia e Sentimento”

1 commento

  1. Quanto sentimento nel racconto di Marisa , alunna della piccola scuola. Ha descritto in modo semplice ,ma per questo così efficace , gli anni della scuola, rendendoli fino a noi intatti.
    Ha saputo scrivere di bambini, di speranze ,di progetti che poi si sono realizzati. Perché tutto serve del passato , per riconoscere il presente e costruire il futuro.
    Grazie Marisa.

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