La Val Grue prende nome dal torrente che la attraversa: il Grue, che, nel secolo XI, era indicato con l’idronimo Coluber, a motivo del percorso sinuoso simile alle spire di un serpente; analogamente il territorio circostante, nel secolo XIII, era designato come Val de Colover. Nel tempo l’idronimo ha subito alcune varianti, come Colovra, Colobrum, Colubrium e Goluber, giungendo infine all’attuale Grue.
Tutto ciò ha fatto formulare, nel tempo, varie ipotesi su come e quando possa essersi mutato in tal modo l’idronimo. Non si tratta tuttavia di un caso isolato, in quanto anche i torrenti che attraversano le valli adiacenti hanno subito varianti, più o meno accentuate, nelle loro denominazioni. La spiegazione, senza proporre ipotesi di fantasia, ma basandosi su testimonianze tratte da racconti dei nonni, è dovuta alla presenza in valle di un maestoso volatile: la gru, definita con termine dialettale grua o grue.
Infatti, fino a metà Ottocento, le gru nidificavano in queste zone, ma ormai, da tempo, avendo mutato le rotte migratorie, risultano essere solo di passo. La presenza dell’uomo in valle risale a tempi ormai remoti: vi si sono alternati Liguri e Romani, i territori sono stati funestati, nel secolo X, da incursioni ungare e saracene, mentre appare di relativa calma il periodo feudale, solo marginalmente interessato da contrasti politici e religiosi. Le sorgenti del torrente si trovano ad una altitudine di poco più di 600 metri sul livello del mare, presso lo spartiacque con la Val Borbera, nel comune di Dernice.
Lungo il suo corso, stimato in circa 70 chilometri, riceve apporti da diversi torrenti minori e tocca i comuni di Garbagna, Avolasca, Casasco, Montemarzino, Montegioco, Cerreto Grue, Sarezzano e Viguzzolo, ove entra in pianura Padana e, nei pressi di Castelnuovo, confluisce in Scrivia, di cui è affluente di destra. In tempi relativamente recenti, la Val Grue è stata compresa nella Comunità Montana delle Valli Curone, Grue e Ossona, a cui va il merito di aver promosso, in collaborazione con la Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e Valle d’Aosta, nell’ambito del progetto Alpi e Cultura, un censimento degli archivi storici civici ed ecclesiastici con redazione dei relativi inventari. Ancora la stessa Comunità Montana, unitamente alla Soprintendenza ai Beni Archeologici del Piemonte, ha realizzato una pregevole mostra di reperti, relativi ai più antichi insediamenti neolitici, tenutasi nel Centro di Brignano Frascata in Val Curone, provvedendo inoltre a dare alle stampe opuscoli promozionali delle bellezze locali e dei prodotti tipici, corredati da brevi cenni storici ed informazioni su colture, gastronomia, accoglienza turistica.
Localmente risulta difficile reperire documentazione archivistica relativa al periodo compreso tra Medioevo e secolo XVIII, completamente inesistente in alcuni paesi, mentre in altri si sono conservati nuclei di documenti risalenti al secolo XIX, quando il Piemonte è compreso nel Regno di Sardegna. Nella quasi totalità si tratta di delibere delle civiche amministrazioni, da cui comunque si desumono chiaramente la situazione locale e gli eventi verificatisi, nonché le procedure attivate per fronteggiarli. È opinione diffusa che la dispersione e la distruzione degli archivi siano da imputarsi agli eventi bellici della seconda guerra mondiale, sul finire della quale, nelle valli piemontesi, molto ha combattuto la Resistenza partigiana, anche se, come scrive il Goggi, già nel 1797, in alcuni paesi, la popolazione aveva bruciato gli archivi allo scopo di far sparire i titoli di proprietà .
Gli eventi che i paesi hanno dovuto fronteggiare, mentre la valle era compresa nel Regno di Sardegna e di cui vi è traccia nei loro provvedimenti, sono quasi sempre legati a momenti di grave difficoltà, come la terribile carestia del periodo 1815-1816, determinata dalle sfavorevoli condizioni climatiche conseguenti all’attività di alcuni vulcani che avevano reso impraticabili i terreni a causa della grande umidità e dello scarso soleggiamento causato dalle ceneri in sospensione nell’atmosfera, il terremoto del 1828, le ripetute epidemie di colera negli anni 1834-1836 e 1854-1855, gli impegnativi ricorrenti lavori di ripristino della strada tra Tortona e Garbagna, unico percorso utile per movimentare e commerciare i prodotti e per lo spostamento di persone e materiali, che, rasentando il torrente, subisce gravi danni nella cattiva stagione, che necessitano poi di ristrutturazione a mezzo di comandate. Le problematiche collegate alla viabilità, dopo accordi intercorsi tra i comuni interessati e trattative con il Ministro degli Interni del Regno di Sardegna, portano alla creazione di un consorzio per la gestione della strada Tortona-Garbagna, che infine è riconosciuta come strada consortile con apposito decreto dell’Intendente di Tortona, in data 14 gennaio 1832.
Il provvedimento si era reso necessario soprattutto per la programmazione e la distribuzione dei carichi di lavoro da sostenere per mantenere agibile la strada con i dovuti ricorrenti restauri. Dai documenti inoltre si desume che, probabilmente, non vi erano ponti, ma lo spostamento da una riva all’altra del torrente si effettuava servendosi di guadi o di alcuni ponti mobili lignei, trattenuti da catene, spesso trascinati via e dispersi dalla violenza della corrente. All’epoca inoltre, almeno in alcuni tratti, la strada doveva trovarsi non solo molto vicina al torrente ma addirittura sugli argini, motivo per cui, nel Novecento, sia la strada sia il corso del torrente hanno subito variazioni di percorso per mano dell’uomo, come ricordano ancora diverse persone.
Tutto ciò purtroppo non è servito a scongiurare i rischi di esondazione: infatti nel 1994, ed ancor più nel 2014, Grue e relativi affluenti, il cui livello si era molto innalzato per la continua forte pioggia, hanno provocato gravissimi danni uscendo dagli argini, invadendo terreni, distruggendo edifici e creando enorme disagio alle persone. Non sempre però le acque dei torrenti hanno creato solo disastri, ma invece hanno validamente contribuito al sostentamento degli abitanti di valle alimentando i mulini ad acqua onde provvedere alla molitura dei cereali. Il mulino è ricordato nella toponomastica del comune di Montegioco, dove ne rimane ancora l’edificio, mentre un mulino storico si trova in comune di Garbagna ed un altro, attivo fino a pochi anni fa, sorge al confine tra i comuni di Casasco ed Avolasca.
Nei documenti ottocenteschi non compare alcuna notizia riguardante i moti del 1821 o i fatti d’arme degli anni 1848-1849. Solo si intuisce la presenza di società segrete dalla formula del giuramento prestato dai pubblici amministratori, che devono garantire la loro non appartenenza a movimenti sovversivi, per il presente e per il futuro. L’unico documento, da cui si comprende che qualcosa sta cambiando, è una delibera del comune di Garbagna, che fissa la data (domenica 11 maggio 1851) per la celebrazione della festa nazionale onde manifestare la riconoscenza «del beneficio dello statuto nazionale ». Per l’occasione vi sarà l’intervento delle autorità locali, della guardia nazionale e delle scolaresche, si esporrà la bandiera nazionale, si terrà solenne funzione nella chiesa parrocchiale, sarà fatta distribuzione di pane e vino ai poveri e, con sparo di « mortaletti », si concluderà la manifestazione.
Dalle delibere ottocentesche restanti, seppure cronologicamente discontinue, si traggono anche notizie sui componenti le amministrazioni, da cui si deduce che, solo a Garbagna, vi sono individui con una buona istruzione, mentre negli altri paesi la quasi totalità degli amministratori è invece illetterata, ma nonostante ciò tutti si applicano al meglio per gestire sé stessi e i compaesani con il classico comportamento del buon padre di famiglia. Seguendo il corso del Grue si incontrano nove Comuni, la cui popolazione è spesso distribuita in numerose frazioni.
Gli abitanti sono pochi poiché, a partire dall’Ottocento, vi è stata una consistente migrazione dalla campagna alle città, non solo nelle regioni italiane, ma pure all’estero, in Europa, Nordafrica e Americhe. Solo recentemente, forse a causa della crisi, che ultimamente ha colpito anche l’Italia, alcuni giovani sono tornati all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame e, per favorire coloro che desiderano trascorrere una vacanza all’insegna della tranquillità, godendo delle bellezze naturali, si sta curando particolarmente l’accoglienza e la ristorazione. Ecco l’elenco dei nove Comuni: Dernice, Garbagna, Avolasca, Casasco, Montemarzino, Montegioco, Cerreto Grue, Sarezzano e Viguzzolo.
Qui, di alcuni si è già trattato, di altri ne riparleremo. Per ora basta che si sappia tanto così.
Il testo è a cura di Anna Maria Solone Gobat – tratto dai quaderni della Società Ligure di Storia Patria – 2019