Il 1 novembre si celebra la festa di Ognissanti, seguita dalla commemorazione dei defunti. Pensate, fu papa Gregorio IV, nel 835, a fissare al 1° novembre la festa di tutti i Santi.
Ecco, ho lasciato esprimere a Benedetta de Vito il senso di questi due giorni, sentito in prima persona, con il suo vissuto. Come sempre, da leggere!

Al numero 96 di via Appia nuova, in un condominio di palazzine giallo ocra, alte a quadrato, come sentinelle, su un giardino d’ombre e di erbe, vivevano i miei nonni paterni.

Eccomi, eccomi, sono io, bambina, con la treccia sul dorso, gli occhi d’aprile, racchiusa nella divisa bianca e blu dell’istituto Mater Dei, trotto dietro ai miei genitori fino al portone d’ingresso e poi mangiata dall’ascensore vetusto, lentissimo, in rumore di catenaccio. S’apre, cupo, l’ingresso nero di parenti.

Qualcuno, perduti i miei, mi prende per mano: “Bacia, bacia la zia”. Sul letto, la sorella bella di mia nonna, Cecilia, della Cilia. Non è seduta come di consueto nel nimbo di luce della vecchia lampada di velluto verde, a fare i suoi solitari, ma distesa sul letto, bianca, di cera, in capo, un velo di trine nero.

Tra le mani intrecciate, il serpentello di un rosario. La baciai, e in quel bacio gelato corse in me un brivido e tutta quanta, pur non sapendolo, ero già immersa, io piccina, nel mistero della vita che quaggiù si fa carne e pellegrinaggio nel mondo e di là, la vita che noi chiamiamo morte, anima tra anime, in lode perenne e contemplazione. Corsi via a rompicollo, confusa tra gli altri, in fuga, viva e morta insieme.

Fu quel primo, incontro con la morte, normale per i bambini antichi, come antica sono anche io a squadrar l’intera mia esistenza e a donarmi la bussola che, tra il su e il giù, mi avrebbe condotta, seguendo nel labirinto il filo d’oro che conduce al cielo, sui passi della Comunione dei Santi, dogma della Chiesa cattolica che ora non sembra andar più tanto di moda, ma che per me è faro, lume, vita, respiro. Prima di seguitar nelle povere parole mie che non sono teologa, vi offro le parole sante di San Pio X, prese dal suo bel Catechismo: “Comunione dei santi significa che tutti i fedeli, formando un solo corpo in Gesù Cristo, profittano di tutto il bene che è e si fa nel corpo stesso, ossia nella Chiesa universale, purché non ne siano impediti dall’affetto al peccato”

E ancora: “I beati del paradiso e le anime del purgatorio sono anch’essi nella Comunione dei santi, perché congiunti tra loro e con noi dalla carità, ricevono gli uni le nostre preghiere e le altre i nostri suffragi, e tutti ci ricambiano con la loro intercessione presso Dio”.

Per vedere, fatto luce, volti, colori, con gli occhi buoni, il mistero del cammino trionfale, tra cielo e terra, di chi in Cristo a passi sicuri, in fortezza e prudenza, procede nella carità, vi vorrei condurre con me in una chiesa bellissima, una Basilica, che si trova nel rione Celio a Roma: la Chiesa dei Santi Quattro Coronati, parte di un antico complesso monastico tutto cortili e cripte.

C’è ancora oggi il monastero delle monache agostiniane e c’è un antico palazzo cardinalizio. C’è un’aria di poesia all’intorno, nel volo dei gabbiani, con i merli a saltellar tra le buche e i sassi. Andar lassù è come far un passo indietro nella storia. L’aria è più pulita nella semplicità delle pietre.  

Io, se a lenti passi, mi reco ai Santi Quattro – che furono soldati, forse, i quali si rifiutarono, sotto Diocleziano, di uccidere i marmorari che si rifiutavano di scolpir idoli – lo faccio di solito verso sera, quando stanco delle scempiaggini degli uomini il cielo indossa il suo mantello più bello, incendiato dal sole in calante riposo, e si prepara a dormire. Sono lì per liberare il cuore dalle cure quotidiane e sentirmi rinata in quel silenzio d’oro, nel respiro profumato di quel fazzoletto di campagna a Roma.

“Il Regno dei cieli è simile a un monastero posto nel cuore della città”, scrivono le sorelle agostiniane, ed è proprio così. Prima di entrare in paradiso, dunque, mi siedo sul muricciolo sghembo che dà il benvenuto e, nel su e giù dei sassi di cui è fatto, sono lì, tutta in me, perduta in un esicasmo muto, lontana dalla città che laggiù s’immagina in fucina.

Già la posizione, seduta com’è come su un piedistallo, in basso la città, è grazia della magnifica Chiesa, color mattone. Il suo vestito poi è da regina, nell’eleganza medievale del cotto romano. Si sale un poco, almeno io, verso il Creatore e, ritrovato lo spirito che tutti ci pervade, si entra in un gran cortile dove mutolo è l’intorno e vuoto di vita mondana il canto della serenità.

Sulla destra, per chi lo desidera (ma bisogna chiedere la chiave alla monaca agostiniana che aspetta, immobile, dietro la grata) si può ammirare l’oratorio di San Silvestro e non vi svelo la festa di colori, nel disegno elegante del pavimento cosmatesco…

Io, invece e voi con me se vorrete, entro in Chiesa e, seduta in un banco proprio in fondo, ai piedi dell’entrata, alzo lo sguardo verso il catino absidale della Chiesa che splende in oro acceso. Di lassù, tanti santi, dall’abside, mi sorridono nella loro nuvola d’oro come in un gioco di figurine antiche.

E gioco, infatti, a riconoscerli nei simboli loro di testimoni e illuminati: Santa Caterina d’Alessandria con la sua ruota, Sant’Antonio nel giglio bianco, Santa Rita, col soggolo grigio, San Girolamo che medita sul teschio. Non è un gioco facile perché il collo è torto e duole. Lo sguardo si perde nell’insieme caldo e salgo, salgo, insieme alle figure alate ed ecco, alto su tutti gli altri, San Giovanni Battista, il precursore, il cugino di Gesù. E, in faccia lui, bella nei panni azzurri, c’è Maria, la nostra mamma in cielo. Nella nube della non conoscenza, seduti su nuvole come in trono, Gesù Cristo e il Padreterno. Come poggiata sulla mano destra del Figlio, la spirale terrena che a Lui conduce. Il Signore è un vecchio canuto, vestito di bianco. E’ ritratto in un gesto impetuoso che par regolare l’intero Creato e anche l’ultimo dei nostri capelli. Vicino a Lui la bianca colomba dello Spirito Santo che Egli invia sulla terra per attirarci a Lui…

Noi sotto, loro lassù, tutti uniti, anche chi è in Purgatorio, dall’Amore sublime di Dio. In loro mi specchio, sola, e da loro sollevata, trasformata la solitudine in armonia, me ne ritorno a casa. E prima di congedarmi, tornata a piedi saldi nel mondo, vi dico che l’affresco da me e da voi ammirato ai Santi Quattro Coronati ha per titolo “Gloria dei Santi ed è opera di Giovanni Mannozzi, detto Giovanni da San Giovanni.

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