Gli 85 anni della “Camionale”, collegamento tra Genova e l’entroterra

E’ da pochi giorni passata una ricorrenza. Ottantacinque anni fa si inaugurava la “Camionale”, così chiamata perché a percorrerla tra Genova e Milano, superando l’Appennino e le sue asprezze, almeno fino a Serravalle Scrivia, erano soprattutto i camion. Quelli, peraltro, che il regime fascista indicava come il segno di una industrializzazione crescente e di un collegamento dei poli produttivi del Nord con il porto di Genova, superando la vecchia e tortuosa statale dei Giovi. Fu un cambiamento netto, per Genova, che lamentava la fatica dei collegamenti con il nord; era un primo passo, in attesa di quegli altri che sarebbero arrivati — parzialmente — molti anni dopo.

Arrivò Mussolini e arrivò il re Vittorio Emanuele ad inaugurarla quel 29 ottobre del 1935.

Nacque nell’ambito sia di una necessità internazionale di aumentare le reti stradali  (nel 1931 era avvenuto a Monaco  il “VII congresso internazionale della Strada”, dove l’Azienda Autonoma Statale della Strada italiana , nella sua relazione vantava 20mila km di strade nazionali e la realizzazione, per primi in campo internazionale, di costruzione di una autostrada ideata dall’ing Puricelli nel tratto Milano-Laghi); sia dei  grossi giochi di interessi tra ministeri statali e finanziatori in cui erano di fronte la amministrazione ferroviaria (che vantava arrivare sempre in perfetto orario! ed essere vastamente rappresentata sul territorio ed a tariffe fissate dal governo; ma non offriva la capillarità del servizio); e sia di una fiorente e sempre più in sviluppo industria di autoveicoli, con la FIAT in prima linea (apparentemente sempre più competitiva delle ferrovie sia per la capillarità che per il prezzo specie da quando la scoperta del diesel  permise un notevole risparmio nell’uso del  combustibile). 

Fu fatta la scelta a favore del trasporto su strada, concependo l’idea di potenziare la rete stradale. Sino allora, per la Liguria il traffico su autoveicoli a quei tempi usufruiva solo, e con non poche difficoltà, della strada statale dei Giovi iniziata da Napoleone nel 1810 ed aperta al traffico nel 1821.

Era storia antica, aver già cercato dal febbraio 1900, e poi in altre occasioni attraverso le vie parlamentari, di aprire il cosiddetto “quarto varco” (dopo le due tratte ferroviarie e la strada dei Giovi), sempre naufragato per inerzia, per guerra, per problemi economici, impatto ambientale, usanze (soprattutto la ancora, vastamente in atto, trazione animale; al massimo l’esistenza della linea ferroviaria ma valida solo per le lunghe distanze).

Così, negli anni ’20, l’ing. Puricelli Piero aveva studiato una specifica strada per veicoli (perciò battezzata ‘auto-camionale’).

Negli anni immediatamente a seguire, il regime aprirà altre autostrade (e non tutte completamente finanziate dallo Stato; ricordiamo la Milano-Laghi nel 1925, e la Milano-Bergamo nel 1927, e subito dopo la Milano-Torino, la Firenze-Viareggio, la Roma-Ostia, la Napoli-Pompei tutte ad uso prevalente automobilistico.

Col beneplacito di Mussolini si diede il via nel febbraio 1932 al progetto di una autocamionale da Genova a Serravalle, totalmente finanziato dallo Stato: 175milioni di lire, pari a 3,5 milioni/km (quando altre in pianura erano costate 1,1=Mi-Bg; e 2 la Napoli-Pompei (il duce Mussolini, aveva inizialmente voluto chiamare “autocamionabile” l’autostrada Genova – Milano, per sottolineare il fine a cui era particolarmente destinata; il decreto di questi lavori dichiarati di pubblica utilità, firmato a san Rossore il 18 giugno 1932 (anno X), fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del regno il 4 luglio; “a spese dei Lavori Pubblici salvo contributi della città di Genova”.

Per il progetto fu istituito uno speciale ufficio del Genio Civile, supportato dalle migliori forze intellettuali: era in moda la corrente culturale del futurismo, e la velocità acquisiva il ruolo determinante e tangibile della volontà di progredire in senso economico e sociale.

Caratteristica innovativa fu che essa era la prima strada che attraversava gli Appennini in gallerie, rompendo l’isolamento di Genova. Ma anche a livello internazionale, perché dovevano essere: 50 km di strada a carreggiata nei due sensi, senza interruzioni con le arterie stradali comuni; in forma continua e col tracciato più breve compatibile col terreno; con uscita ed entrata presso alcuni paesi; spartitraffico continuo (solo in alcuni punti diritti, poteva esistere una terza corsia centrale unica per il sorpasso, ma per ambedue i sensi); pendenza non superiore al 4%; curve con raggio non inferiore a 100 m.; larghezza 10 m di cui 9 pavimentati per tre piste di cui una centrale per il sorpasso; limiti di velocità idonei allo scorrere veloce dei veicoli; rettifili pari a 29km sui 50 in totale; massima altezza quota 413 slm; 11 gallerie (la più lunga era quella dei “Giovi”, in uso ancora attuale nell’andare verso Milano (progettata di 892m. fu allora chiamata ‘Littorio’; la seconda, di Campora, allora chiamata “XXVIII ottobre”, di 507m); oggi è di 902 m. di lunghezza e 9 di altezza; fu aperta a minore altezza (59m. essendo a quota 413m. slm) rispetto il passo omonimo della strada statale), 28 viadotti (il Montanesi è lungo 273m ed alto 46), 12 cavalcavia; 112 sottopassaggi compreso le rampe di accesso.

Tutto, oltreché funzionale, doveva essere anche bello ed esteticamente di rilievo, un’opera che doveva dare lustro al regime: l’ingresso delle gallerie, i muri bugnati con squadratura esagonale,decorazioni a suon di fasci littori realizzati in marmo verde di Pietralavezzara; le pietre venivano lavate prima di essere posizionate.

Storia

Il 21 apr.1932 (natale di Roma) il ministro dei LL.PP. e funzionari regionali studiarono i preliminari e appaltarono i progetti diretti dall’ing. Giovanni Pini (compresi gli espropri dettati obbligatori per pubblica utilità; i capitolati d’appalto e bandire la gara); il 18 giugno venne la regia autorizzazione previo decreto n° 757; nel settembre viene approvato il progetto definitivo, e – con una rapidità senza precedenti – il 6 ottobre si diede il via ai lavori, con un primo stanziamento di 110 milioni.

Con epicentro a Busalla, furono reclutati 26.882 operai (scalpellini, muratori, carpentieri, minatori, genieri, ecc.; per le 550mila giornate lavorative necessarie, furono accasati in quindici diverse ‘cascine’; costavano 4,50 lire cadauno di vitto ‘sano ed abbondante’ più £ 1,42 all’ora per un manovale=a £.12,75 essendo la giornata lavorativa di nove ore; di essi 10500 genovesi, 3631 alessandrini, 2189 bellunesi, 784 udinesi, 1725 carraresi, 1533 bresciani, 2184 bergamaschi, 620 trevigiani, 240 vicentini, 197 lucchesi, 3279 da altre provenienze;  non utilizzati tutti assieme in continuità, ma a gruppi secondo i vari settori). Il serpentone, fu diviso in 22 lotti, con un massimo d’insieme di 8264 uomini; e fu dato in  appalto a 28 imprese – delle quali 16 per i lavori stradali e 12 per illuminazioni ed impianti. Furono usati 124.800 kg di dinamite. Al fine, furono adottate come ‘case cantoniere’ cinque edifici, tinti del caratteristico ‘rosso pompeiano’ tanto caro all’ideologia dell’epoca.

I primi due cantieri, iniziarono nel secondo semestre del ‘32; furono per il tratto da Busalla a Genova e da Pietrabissara a Serravalle, per poter spostare la mano d’opera man mano che la strada si completava.

Il tutto comportò un notevole beneficio economico e demografico per tutti i paesi del percorso. Fu vanto anche essere riusciti a traccialo, intrecciandosi ripetutamente con la ferrovia e la statale, attraversando aree abitate e torrenti. Fu chiamata “autocamionale Genova-Valle del Po” o “camionale dei Giovi”, per l’indicazione ed indirizzo prevalente al traffico pesante e di merci, tramite camion da trasporto a nafta, atti a fornire un più rapido smaltimento delle derrate da e per l’entroterra lombardo-piemontese ove poter raggiungere mète sempre più capillari.

Una migliorata funzione del porto in genere e l’apertura di nuovi accosti nel ponente, assunsero particolare rilievo nel decidere l’apertura del tracciato.

Tre anni, tre anni soltanto per realizzarla, con l’impegno di 26.882 operai per costruire quei 50 chilometri, visto che il tratto tra Serravalle e Milano sarebbe stato inaugurato solo il 10 settembre del 1960, e che dovevano dare lustro ad un regime che insisteva sull’ammodernamento del paese. Oggi si chiama A7, Milano – Genova.

Sta di fatto che l’opera fu e resta, enorme: ventinove i chilometri in rettifilo, il resto in curve dal raggio minimo di cento metri che era considerato ideale per il traffico di allora. Adesso non più tanto, visto che dai 570 autocarri al giorno del 1935 si è passati ai 13 mila mezzi pesanti di oggi.

Fonti http://www.sanpierdarena.net/ e https://genova.repubblica.it/

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