Domani, 1° dicembre, ricorre il 76esimo anniversario dal bombardamento di Villalvernia. Ecco, oggi il paese è decisamente cambiato da quel giorno, anche le persone che sono sopravvissute, oggi non ne rimangono che pochi testimoni, forse una manciata.
Per ricordare e non dimenticare ripropongo qui un articolo tratto da IL POPOLO NUOVO di DOMENICA 5 DICEMBRE 1954 dal titolo: «IL TRAGICO BOMBARDAMENTO DEL 1944 – IN DIECI MINUTI VILLALVERNIA FU TRASFORMATA IN UN CIMITERO»
Mi pare renda bene l’idea.
Villalvernia, 4 dicembre 1954
Dieci anni fa Villalvernia scompariva sotto un tappeto di bombe. Bastarono dieci minuti per ridurla a un pauroso cimitero sconvolto. Era il primo dicembre e il campanile aveva da poco suonato le due quando nel cielo limpidissimo del paese comparve una formazione di nove bombardieri pesanti: gli stessi che erano passati un’ora prima. “Rientrano alla base” commentò la gente. E invece puntavano su di loro, su Villalvernia dove, anziché quella compartimentale di Genova, gli alleati ritenevano si fosse trasferita la Direzione centrale delle Ferrovie dello Stato.
Questo era l’obiettivo, ma nessuno l’immaginava. Perciò non fu suonato l’allarme: le donne rimasero in casa, gli impiegati negli uffici, i bimbi nelle scuole. Così quando gli aerei sganciarono le bombe fu come se seminassero la morte. Dire terrore é nulla. Il paese fu colto da un delirio collettivo. La gente – quelli che non erano rimasti sotto le macerie – correva come impazzita per le strade: era un grido solo, un grido che diventò urlo disumano quando di lì a poco si videro gli apparecchi. Chi poté raggiunse il bosco, i prati, le colline. Gli altri scesero nelle cantine, negl’interrati con l’illusoria speranza di trovarvi solido riparo. “Ritornano…”!
Anche Don Pierino Bonaventura, il nuovo vice-parroco che da appena cinque mesi, a 22 anni, era stato ordinato sacerdote, vedeva che ritornavano, ma lui non corse verso nessun rifugio. Sapeva che la sua missione era un’altra: fra le case distrutte potevano esserci moribondi e lui doveva essergli accanto in quegli istanti supremi.
E il pretino fu visto uscire dalla canonica con gli Oli Santi e correre presso i feriti. E come lui, furono visti l’ostetrica comunale Rosa Alloni cercare di portare in salvo un bambino e il ferroviere Ettore Corana prodigarsi in aiuto di un suo superiore. La seconda ondata travolse tutto. Rimasero danneggiate le scuole, il Municipio e la canonica; crollò la sede della società del Mutuo Soccorso, decine di case. Durante la loro sublime opera di soccorso morirono il ferroviere, l’ostetrica, il pretino. Dieci minuti era durata la tregenda. Villalvernia non c’era più. Intere famiglie – quelle dei Lorenzotti, dei Bottazzi, di Andrea Dameri erano scomparse. Padri senza figli; figli orfani di padre e madre; donne senza lo sposo; uomini vedovi. Scene di dolore senza nome.
In una stanza della canonica dov’era stata sistemata un’aula scolastica, lo spostamento d’aria staccò nettamente la testa a uno scolaretto, conficcandola dentro al braccio d’un lampadario. In tutto duecentocinquanta feriti. E i morti ? Quattro giorni dopo 109 bare erano allineate sotto la navata della chiesa parrocchiale: una delle più vaste e angoscianti camere ardenti. Tre giorni era durato il ricupero delle vittime e chi li vide allora non ha più dimenticato con quanta pietà e dedizione i sacerdoti e i chierici della Congregazione della Divina Provvidenza di Don Orione di Tortona si prodigarono a estrarre, ripulire, comporre le salme dilaniate e a curare i feriti.
Centonove morti su una popolazione di mille abitanti. Il parroco di allora Don Michele Carlone, che durante il suo ministero a Villalvernia non aveva complessivamente sepolto tanti morti, lasciò interrotto il vecchio e iniziò un nuovo registro dei morti. Caro parroco, che quando trascrisse i nomi delle vittime non si limitò a segnare i dati richiesti, ma sotto il fremito della commozione aggiunse accanto a ciascuno un breve elogio, un’annotazione. Per sei mesi Villalvernia rimase deserta. Gli uffici delle ferrovie dello Stato furono trasferiti e i superstiti cercarono asilo presso parenti ed amici nei paesi vicini. Solo dopo la fine della guerra, la gente ritornò in paese a ricostruire le case abbattute. Il Governo intervenne sollecitamente a favore dei senzatetto, rifece le scuole, l’asilo. A poco a poco Villalvernia abbandonò quell’aspetto di devastato cimitero, in cui era stata ridotta, riprese a vivere ed ora i segni della distruzione non esistono più.
Altre opere sono sorte, nuove opere si vanno costruendo, altre sono in progetto e di prossima esecuzione. L’acquedotto sta per essere ultimato; in questi giorni é giunta la notizia che il competente Ministero ha concesso 26 milioni per la costruzione di un ponte sul torrente Scrivia. Cammina bene, ora, Villalvernia. Ha un’amministrazione comunale seria ed attiva, un sindaco – l’ing. Francesco Valerio – capace e un parroco – don Angelo Beccaria – che é stato l’anima della rinascita e di ogni iniziativa. Una sola cosa é dispiaciuta a questa gente: che le abbiano portata via la frazione Bettole per aggregarla al comune di Pozzolo Formigaro. Erano trecento persone, Che Villalvernia considerava come sue, e vedersele sottrarre le ha fatto male. Ne aveva già perdute tante! Ora che la vita é diventata normale, un’opera ancora si rivela d’estrema necessità: il prolungamento di via Cavour con un ponticello sul rio Rile per evitare l’attraversamento della stradale percorso da troppi automezzi e sul quale avvengono spesso incidenti mortali. Sappiamo a questo proposito che parlamentari democristiani alessandrini si sono presi a cuore la faccenda e ci sono quindi buone speranze che l’opera venga presto eseguita. “Lavoriamo nel ricordo dei nostri morti” dice la gente. E’ un ricordo ancora oggi straziante, ma si sa che spesso i morti ci aiutano a vivere.