Da quando c’è la crisi di Governo abbiamo visto retrocedere di una posizione sui giornali e nei tiggì – e perchè no anche nei talk televisivi – le notizie e le preoccupazioni per la solitudine e la clausura per osservare le regole anti-Covid. Quanti anziani non escono più, ma anche i meno giovani – non tutti – si sono organizzati tra le quattro mura di casa.

Fino a quando e per quanto ancora? Basterà l’ossigeno che ci concedono nelle zone gialle attuali?

Era bello, durante l’ottobrata monticiana, scendere in piazzetta, sotto alla bella fontana dei Catecumeni, dove si apparecchiavano le lunghe tavolate per mangiar la porchetta d’Ariccia, panini e vino dei Castelli. E tutto era vivo, allegro, e non si pronunciavano parolacce come “assembramento” per raccontar l’allegro e colorato scambio di chiacchiere e d’abbracci che erano pietanza dello stare insieme.

Bar e ristoranti erano aperti, pieni di rumore e, i primi, di caffè e cornetti, e i secondi di spaghetti al sugo. Era il tempo dell’uomo che conosceva, sapiente, la grande verità. Che cioè chi è solo è morto, come recita la geniale poesia “Pensa, uomo civile” di Rodolfo Wilckock, un bizzarro scrittore argentino che fece dell’Italia la sua Patria, scrivendo nella lingua nostra le sue intense poesie. E dunque, eccoci, soli, tutti quanti, e morti, con indosso, come scriveva il nostro poeta, la “maschera di Agamennone” che però non è d’oro, ma color clilestrino, nera o bianca, e comperata mestamente in farmacia.

E il bello è che moriamo per non morire. Come se la morte avesse cominciato la sua danza a marzo dello scorso anno. E intanto muoiono, ma per davvero, esercenti, ristoratori, proprietari di palestre e piscine, aziende intere. La malattia c’è, ebbene curiamo i malati, con le cure che molti medici segnalano come ottime e abbondanti, ma non uccidiamo per questo un Paese.

Il fiato di Malefica, armato dalla paura, percorre le strade e le piazze del Rione Monti mio, delle nostre città e dei paesi. Lo “story telling” del terrore, insufflato dai telegiornali bianchi, rossi, gialli e verdi (cioè arcobaleno) divide le generazioni, mette le nonne contro i nipotini, invita i vicini di casa a farsi delatori, accende nella popolazione l’odio e il rancore ora verso i giovani che hanno la sola colpa di voler stare insieme, ora contro chi torna dal Brasile o dall’Inghilterra, in ondate d’odio che poco hanno di razionale e molto di psicotico.

La “psicopandemia” ha trasformato i raduni e i ritrovi in deprecabili “assembramenti”, i luoghi dove essi si celebrano, da tempo immemore con allegre bicchierate e sorrisi e danze, cari al cuore, in pericolosi focolai di contagio da punire, chiudere, sbarrare, tenere sotto un pugno di ferro con regole senza capo né coda e dal respiro mozzo. Colorar l’Italia serve a tener sul filo tutti, come sotto un’eterna spada di Damocle che può essere calata, a piacimento, come punizione per i birichini.

Sì, perché, nel fondo, diciamocelo, il governo ha reso infanti gli uomini e le donne, chiudendoli nell’utero rimediato della casa, incapaci di ribellarsi, come direbbe Pier Paolo Pasolini (e quanto ci manca) “feti adulti”. Che strano, mi viene in mente che proprio PPP, nella sua ultima intervista prima di morire, disse: “Io vado all’inferno, ma l’inferno sta salendo su da voi”. Un inferno di ghiaccio. Infatti nella Divina Commedia, Dante ha infilato nel ghiaccio i grandi, terribili traditori cioè Giuda, Bruto e Cassio.

Le regole dei colori fanno acqua da tutte le parti. Qualcuno, tra gli scienziati, potrebbe spiegarmi perché, in zona gialla, bisogna chiuder i ristoranti alla sera, quando il giorno posso mangiare in trattoria? E perché non posso bere un caffè al bar in zona arancione, quando vado a bermelo per strada, insieme a chi mi pare? La notte poi: coprifuoco. Che parolone, un latinorum per evocar guerra, l’orrore della notte, l’ignoto che scora il cuore… Il virus, infatti – lo sanno anche i bambini – indossato il mantello di Paperinik, parte all’attacco e tutti barricati in casa, senza poter respirare l’aria fresca che il Signore ci regala e che non è di proprietà del Comitato scientifico.

Respirare ossigeno è un diritto, così come aprire il proprio ristorante in piena sicurezza, con l’amore che si deve avere per il prossimo e l’attenzione che chi ha un’attività possiede in modo naturale. E nel caos che ci governa qualcuno ha anche detto che proprio le case sono tane perfette per il Covid 19. La mia risposta da credente è: se mi ammalo, i casi sono due. Muoio e allora vado nelle dolci mani del Signore, oppure guarisco e allora resto in questa valle di lacrime.

Invece niente, c’è sempre uno scienziato pronto a minacciarci dal video, tirandoci le orecchie, e avvertendoci che la mazza può calarci addosso in qualunque momento e che noi non possiamo far nulla contro l’inevitabile. E noi, dietro le mascherine, gli occhi torvi affacciati al balcone della tristezza, vaghiamo, soli, nel gelo. Mancano soltanto i cani neri del film Quintet per render ancor più gramo il panorama.

E io che per Roma circolo, sgambando dai Monti all’Ostiense, a volte incontro sulla via solo gabbiani impettiti dai freddi occhi che mi sembrano verdastri. Altroché gli assembramenti di cui vedo i racconti sui tg… E sogno, a volte, di ritrovarmi negli autobus affollati, carichi dell’odore dell’umanità e non di amuchina, vorrei essere in uno dei mercatini per hobbisti, dove non riuscivo magari a vender nulla, ma facevo amicizia con la vicina di stand che era una gran simpaticona e nello scambio merci c’era il sugo della vita. E vorrei abbracciare mia madre, senza che lei mi guardi torva, cercando di leggermi negli occhi se ho un poco di mal di gola oppure no…

di Benedetta de Vito

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