Siamo oggi ad un giorno di Festa, il 2 di giugno. La festeggiata è l'Italia. Meglio ancora, la Repubblica Italiana. Scrissi qui già un anno fa cosa significa e da cosa ne deriva questa Festa
Oggi, qui di seguito, lascio lo scritto a Benedetta de Vito con una sua particolare visuale su questa giornata

Le divise, a me sono sempre piaciute, perché tengono alla larga i fastidi e rendono, in certi momenti, omogeneo e ordinato ciò che non lo è. Per tutti e tredici gli anni dalle elementari al liceo sono stata, e volentieri, una ragazza in uniforme bianca e blu, con su il basco in testa per andare in cappella, e ringrazio il Cielo di non aver dovuto, al mattino presto, ancora tutta sonno, tuffarmi nell’armadio, tra gonne e maglioncini, a scegliere che cosa indossare per apparir carina.

E quest’amor per le divise, che mi ha fatto correre sui Fori imperiali, che ho la fortuna di avere a un passo dal portone, a ogni squillo lucente di 2 giugno per la Festa della Repubblica (in memoria, quindi, della vittoria della Repubblica sulla Monarchia sabauda), devo averlo di certo ereditato da mia nonna Lisetta, la quale sposò a quarant’anni o giù di lì, il suo bell’ufficiale, cioè mio nonno Luciano, che era ufficiale di Cavalleria, bello come un Dio greco immaginato e anche cattolico romano. 

Se non fosse morto in un campo di concentramento tedesco, dove era stato portato dopo l’8 settembre, di certo avrebbe sfilato qualche anno lui pure, sotto il cielo romano, in gran spolvero nelle divise che la nonna conservava in fondo a un armadio e che mio fratello, in Brasile, ora colleziona…

Lei, una farfalla, lui un soldato. Si amarono da giovinetti, ma per un motivo o per l’altro, mancarono sempre all’appuntamento con l’amore. Lui aveva l’esercito stampato nell’anima. Bimbetto, seguendo i soldati a passo di marcia, si era perduto per Udine, dove sua madre Rosa, biondissima e zoppa per la poliomelite, lo aveva cercato in disperazione. 

Lei, mia nonna, piena di ammiratori, passava da uno all’altro, con spensieratezza e un poco di innocenza bambina. E alla fine, si sposarono e la mia bisnonna dal nome patriottico di Italina, respirò… Ebbi anche io, anni più tardi, per corteggiatore un ufficiale, ma di Marina, che si chiamava Stefano ed era genovese.

Il suo cognome aveva un suono aspro e tanto ligure come le balze scoscese che rotolano a mare in quella terra così bella che non ho mai visitato e dove vorrei andare. Era questo signore qui già uomo fatto, mettiamo sulla venticinquina, quando io, sedicenne, bionda e ribelle, sognavo di fare la modella, la hostess di volo o so io che cosa d'altro. Lui, invece, in divisa bianca e la pipa, aveva in mente una cosa sola: sposarmi.

Così, candido nell’uniforme splendente, si presentava a casa dei miei, invitato a colazione, con i fiori (per mia madre), un foulard di seta (per me) e tanto stile da riporlo in tre armadi grandi e sarebbe anche avanzato. Una volta, una malaugurata volta, gli fu aperto il cancello mentre i cani (allora scampagnava in giardino il pericolosissimo Iago…) non erano stati legati. Panico di tutti, sguardi in tralice e oddio che fare.

Ci precipitammo fuori e trovammo Stefano, un eroe, ritto in piedi con l'indice sollevato come se insegnasse e Iago, che, torno torno, a coda bassa, gli girava in abbraccio,  come un disco rotto. Fu un tutt'uno di fratelli ad acciuffare il cane e Stefano l'eroe del giorno. Ma non commosse il mio cuore duro di ragazzina. Sicché Liguria e Genova addio!

Ma l’amore per le divise l’ho ancora, in fondo al cuore. Palpita quando vedo sfilare i soldati, fieri della loro. Ed ecco perché, quando posso e sono a Roma, corro ancora adesso ai Fori imperiali ad ammirar tutta la bella gioventù ordinata, che ci ricorda, vivaddio, che siamo un Paese unito e non a regioni colorate e siamo, tutti quanti, seppur con divise diverse e di colori differenti, italiani.

di Benedetta de Vito

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