Il Ministero dell’Istruzione aveva pubblicato a suo tempo l’Ordinanza Ministeriale 191 del 23 giugno 2021, che riporta il calendario delle festività e degli esami di Stato di I e II grado per l’anno scolastico 2021/2022.

La data del primo e dell’ultimo giorno di scuola e i giorni di chiusura per le vacanze scolastiche vengono decisi dalle diverse regioni, che nei mesi scorsi hanno pubblicato i rispettivi calendari.

Chi lavora nella scuola, gli studenti e i loro genitori sanno quindi non solo l’inizio delle lezioni, ma anche quando finirà e in quali giorni ci saranno le vacanze di Natale e quelle di Pasqua.

Calendari scolastici regionali 2021/2022

Più in basso i giorni di festa nazionale, in cui tutte le scuole sono chiuse. Di solito ogni scuola può decidere di aggiungere uno o due giorni di vacanza durante l’anno, che si sommano ai giorni di chiusura stabiliti dalla singola regione.

Il termine delle attività didattiche nelle scuole dell’infanzia è previsto per il 30 giugno 2022.

Giorni di festa nazionale:

– lunedì 1° novembre 2021: Tutti i Santi

– mercoledì 8 dicembre 2021: Immacolata

– lunedì 25 aprile 2022: Festa della Liberazione

– giovedì 2 giugno 2022: Festa della Repubblica

– festa del santo Patrono, la cui data varia di città in città

Calendario scolastico PIEMONTE 2021-2022

Di seguito il calendario scolastico valido per il 2021 e 2021 pubblicato da Regione Piemonte:

  • Giorno di inizio scuola Piemonte: lunedì 13 settembre 2021
  • Giorno di fine scuola Piemonte: venerdì 10 giugno 2022
  • Vacanze di Natale Piemonte: scuola chiusa da venerdì 24 dicembre 2021 con riapertura lunedì 10 gennaio 2022
  • Vacanze di Pasqua Piemonte: da giovedì 14 aprile 2022 fino a martedì 19 aprile 2022, compreso
  • Vacanze di Carnevale Piemonte: scuola chiusa da sabato 26 febbraio a martedì 1° marzo 2022 (da confermare tramite provvedimento).
Ora vi lascio alla lettura di Benedetta de Vito ed ai suo ricordi, ma non soltanto, anche un richiamo al presente

La scuola, ai tempi miei ormai remoti dell’Istituto Mater Dei, cominciava il primo d’ottobre. Gli altri non so, ma io, stanca dei lunghi mesi estivi per me sardi, passati a pescare a schiena bruciata sotto il sole, ero ben felice di tornare alle abitudini di sempre. Fin l’odore della casa di Roma, negletta per tre lunghi mesi e che s’apriva a me rediviva, mi rapiva e il profumino di legno e cera delle pulizie ben fatte dalla Mimma mi danzava nelle narici e poi si tuffava nel cuore. C’era, poi, il rito dei quaderni e del diario da comperare alla Upim, poi bisognava prendere i libri, foderarli, temperare le matite, far sì che all’astuccio non mancasse nulla. E, almeno io (che pur di andar a scuola, se avevo la tosse, tuffavo il viso nel cuscino per mascherare i rumori…) contavo le ore, sognando la data fatale che sembrava non arrivare mai. E forse è per questo che la “Dad” mi ha messo tanta tristezza, perché ho pensato, rivedendomi nei tanti visini tristi e imbavagliati dei bimbi di oggi, a me bambina privata del dolce abbraccio della scuola, dove ci si trovava tra compagne, si litigava anche, ma si era in una comunità e si era qualcuno tra altri come te.

Poi arrivava il primo ottobre, per noialtre in divisa ancora estiva (con camicina bianca e gonna blu) e s’apriva il gran portone custodito dal portiere Otto, che aveva casa e gabbiotto lì dove oggi c’è l’ingresso verde squillante del British Council. Tanto oggi, l’antico bugigattolo si è fatto corsia d’ospedale ed è diventato chiaro e stirato in un antipatico, anonimo neon biancastro nel viavai dei molti che sognano in inglese, quanto allora era oscuro, poco illuminato, abitato da presentimenti e dalle ombre di chi ci visse prima. Per noi alunne, era proibito. Non a destra giravamo, ma a sinistra. S’apriva, infatti, dietro un portoncino scuro, la cappella del Buon Pastore dove, ogni giorno, recitavamo, a più voci, il Santo Rosario. Io, e tutte le altre, con il basco calzato sulla testa e la treccia a scodinzolare, come coda di gatto, lungo la schiena.

La casina di Otto restava abitata dal mistero. Salendo le scale che s’arrotolavano a spirale e mi parevano fatte di zucchero, la immaginavo e nel piccolo suo mistero contemplavo, in me, senza saperlo, quello, più vasto, del mondo che mi circondava, estraneo, lontano, in un abbraccio freddo. C’era il mistero di Otto e quello, insondabile, delle sister. Dove dormivano, non lo sapevo e non sapevo dove mangiavano. Mi era difficile pensarle con la bocca piena. E mi riusciva addirittura impossibile immaginarle in camicia da notte, loro sempre stirate nell’abito color cielo all’imbrunire, il velo nero a coprire il capo. il Crocifisso sul petto, le tasche tintinnati delle sottogonne…

All’ora d’uscita, che era ora di pranzo, è vero, si sentiva nel cortile un gran rumoreggiare di stoviglie e mestoli e posate a batter contro pentole, piatti e padelle. Voci non se ne sentivano, ma il mulinare tipico di una cucina sì. Intanto le grandi-mito (ah la bellezza, per me mai raggiunta da una diva di Hollywood, della Gioia M. e dell’Antonella BV!) accendevano i motorini con mezza pedalata, e, senza casco, via col vento nella libertà con i capelli, scalati da “I Cinque” in Via delle Carrozze, che diventavano serpi nella corrente.

Veniva, quel rumore di stoviglie tanto quotidiano e che faceva a pugni con la solennità e il rigore in cui vivevamo, da un’ala segreta del gran palazzo di Via di San Sebastianello, al pianoterra, nascosto dietro a una porta a vetri. Da quella stessa porta, uscirono, molti anni dopo, vestite in abiti civili, con gonne a pieghe, lunghe ai polpacci e i capelli corti, nudi di velo, le sister rimaste al Mater Dei, dopo la chiusura della scuola.

Mi vennero incontro festose e io, come una ricotta, precipitai, tornata bimba, nel solito inchinetto, la destra incrociata dietro la sinistra. Un silenzio, una pausa lunga quaranta giorni. Mi feci di porpora, poi, una risata di campana squillante, argentina nella primavera, ci unì e ci fece tutte quante donne, nel sorriso del futuro che cambia ogni cosa in allegria…

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