Di buon mattino, la prima pagina di un settimanale locale non mi ha sorpreso per il titolo, ma di certo ha attirato la mia attenzione. E chissà di quanti come me!

Troppe persone in difficoltà: 154 sono in assistenza economica

Che dire, segno dei tempi, per liquidarla facilmente. Ma la questione è tutt’altro che allegra e col passare del tempo potrebbe solo che peggiorare. Pensate che io sia pessimista? Piuttosto realista.

Dice l’articolo sul giornale che nell’ottica di aiutare le persone con difficoltà economiche che non riescono a trovare lavoro, sono stati attivati i progetti P.A.S.S. (Percorsi di Attivazione Sociale Sostenibile) a favore di tutti coloro che hanno condizioni reddituali tali da rientrare nei parametri di sostegno.

Ecco, credo che questa situazione sia estesa e non localizzata, dai piccoli centri alle grandi città. Che sia un segno lasciato dalla pandemia oppure un progressivo deterioramento delle sicurezze di vita, in quelli che sono i valori base come lavoro e sicurezza economica, non v’è alcun dubbio.

Ci sarebbe tanto da scrivere e da approfondire. Non di certo voltarsi dall’altra parte o far finta di nulla.

Io decido di pubblicare un intervento di Benedetta de Vito che scrive di una grande città.

E’ ancora buio il mantello del giorno quando, uscendo dal portone grande di casa mia, a lunghi passi solitari, mi dirigo verso l’ingresso di Sant’Agata dei Goti. Incontro sempre, come il giorno segue la notte, un certo senza tetto francese che è mia conoscenza da quando distribuivo sacchetti e panni a San Quirico e Giulitta. Di molto più dignitoso di tanti politici, attori e vip, lui non saluta, ma mi guarda, occhi negli occhi, come fanno certi gatti che non sono miei ma che a me sono affezionati al punto che quando vado a trovare i loro proprietari e miei amici, questi si fan quasi gelosi per le fusa a me riservate… E mi par di leggere in quel suo sguardo fermo, una certa elegante contentezza. Mi vuol dir forse che lui, pellegrino sempre, privo di tutto, non ha cambiato di una virgola la sua vita e che, sacchi in spalle e sporte tra le mani, vive, mangia e dorme sotto le stelle come faceva prima del tragico 2020, anno di quella che chiamano pandemia e che, qualunque cosa sia stata, ha cambiato per sempre la vita degli italiani.

A capo, qui di seguito in una filza di numeri angoscianti, registrati da enti nazionali di importanza, e che fan male al cuore, potrei scrivere le cifre della miseria, e non solo economica, in cui è precipitato il popolo italiano obbligato a portar la mascherina, a non stringersi più le mani in segno di saluto, a pensar che l’altro sia un nemico, un untore, una persona da tenere lontano dal corpo e anche, va da sé, dal cuore. Invece mi sento di raccontar di come, terminata la funzione, scendendo lungo la Via Panisperna, proprio in faccia a una scuola pubblica un tempo intitolata a una Regina di Savoia, incontro ragazzi, professoresse, bidelle e personale scolastico che a quell’ora sciamano dentro l’istituto. Hanno facce cupe, gli occhi rimbalzano in ferocia dalle mascherine perché, pur stando all’aperto, le tengono ben ferme su bocca e naso e mi guardano in cagnesco perché io, appena uscita dalla Chiesa, mi strappo via il bavaglio.

Questa mattina, ad esempio, mi sono trovata faccia a faccia con una ragazzina mora che, il muso a strascicarle a terra, entrava, tenendo la mascherina azzurra sulla bazza, e gli occhi mogi mogi di una che, pur essendo mattino presto, è già stanca del giorno e anche della vita. Poi ho incontrato una professoressa bionda che era, laggiù, senza mascherina ma che, all’incrociarmi, si è tirata su la visiera dell’armatura che la difende, secondo lei, da un improbabile contagio all’aria aperta. Al bar di fronte a casa, che al mattino presto era gremito i allegri avventori in caciara romanesca, desolato, ci sono due sole persone sedute al tavolino di fuori. Dentro non un’anima. Salgo in casa e non incontro nessun vicino. Le scale sono vuote e non si sente più il brusio di voci allegre che, più o meno alle nove, faceva sembrar pieno il mondo. Il fiato di Malefica, che è il secondo nome della paura, galleggia nell’aria ed è a causa della paura e non del piccolo virus che ci raccontano rosso con tanti pirulini in testa, che l’Italia non riparte, che langue in una valle incantata, senza guida, senza punti di riferimento. Uomini e donne, tutti quanti, inchiodati dalla paura non muovono un passo e dunque l’economia si ferma, creando nuove povertà. Inchiodati dalla paura, uomini e donne non s’abbracciano più ed ecco la sindrome depressiva, l’ansia, l’angoscia. In televisione poi dicono tutto e il contrario di tutto e la paura raddoppia, mentre vanno alla Caritas famiglie che mai pensavano di ritrovarsi un giorno in fila per il pacco alimentare…

Le cifre di tutto questo sono fredde e potrete trovarle, googolando qui e lì, dove vorrete, su siti, blog, giornali, ma è la paura, il cuore della crisi e se non si riparte da lì, ritrovando la gioia di vivere, passetto dopo passetto, nella danza dell’armonia gioiosa dell’universo, questo povero Paese non ripartirà, in barba a tutto il latinorum del signor Draghi e della sua bussola puntata alla ripresa. E la paura oscura di un ignoto virus è in realtà la paura della morte che improvvisamente qualcuno, e non so chi o forse lo so ma taccio, ha voluto render viva, mentre per tanti anni, pur essendo ab ovo et semper l’ordine delle cose sempre uguale, veniva nascosta sotto il tappetto, imbellettata dai colori dell’arcobaleno, celata dai pettegolezzi, dagli scandali, dai tradimenti di nani e ballerine. La morte c’è, è l’altra faccia della vita e bisogna amarla come faceva San Francesco, quello vero non l’ambientalista panteista che ci vogliono ammannire, il vero Poverello d’Assisi che la chiamava “sorella morte”…

Solo vivendo come le lucertole, che si muovono nel sole, tra le erbe, senza temer gli agguati che pure potrebbero patire, come il randagio francese dei miei incontri mattutini potremo ritrovarci, sorridenti, a bere un caffè al sole, a stringer la mano al vicino, a spendere i soldi per comperare cose belle e buone, insomma a far ripartire il motore della vita che è fatto di psicologia e anche di economia. Altroché green pass!

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