Se siete amanti di una buona tazza di caffè al bar, di certo non rinuncerete mai a questo piacere, seppur breve. Ma sarete anche consapevoli del fatto che le quotazioni del caffe arabica sono aumentate dell’80% mentre quelle del robusta sono salite del 70% lo scorso anno ma ad aumentare sono i prezzi delle materie prime alimentari che hanno raggiunto complessivamente a livello mondiale il massimo da dieci anni, trainati dai forti aumenti per oli vegetali, zucchero e cereali.
Ce lo dice un’analisi della Coldiretti sulla base dell’Indice Fao che nel 2021 evidenzia un incremento medio del 28,1% rispetto all’anno precedente.
L’andamento a livello internazionale si riflette a livello nazionale dai campi alle industrie, dagli scaffali dei supermercati fino al banco dei bar per la tradizionale colazione.
A livello internazionale lo zucchero è aumentato del 29,8% nel suo complesso portandosi al livello più alto osservato dal 2016, i grassi vegetali del 65,8% rispetto all’anno scorso mentre i prodotti lattiero-caseari sono cresciuti del 16,9% e quelli della carne del 12,7%. I prezzi internazionali dei cereali hanno raggiunto il livello annuo più alto dal 2012, in aumento in media del 27,2 % rispetto al 2020 con rincari che vanno dal 44,1% del mais al +31,3% del grano.
Sostiene la Coldiretti che con la pandemia da Covid si è aperto uno scenario di, accaparramenti, speculazioni e incertezza con la Cina che entro la prima metà dell’annata agraria 2022 avrà accaparrato il 69% delle riserve mondiali di mais per l’alimentazione del bestiame ma anche il 60% del riso e il 51% di grano alla base dell’alimentazione umana nei diversi continenti, con conseguenti forti aumenti dei prezzi in tutto il pianeta e carestie.
L’emergenza Covid sta innescando un cortocircuito sul fronte delle materie prime anche nel settore agricolo nazionale che ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria in alcuni settori ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais fino all’atteso piano proteine nazionale per l’alimentazione degli animali in allevamento per recuperare competitività rispetto ai concorrenti stranieri.
Coldiretti, senza mezzi termini, dice che di fronte all’aumento esplosivo dei costi di energia e mangimi è necessario rendere immediatamente operativo l’accordo di filiera raggiunto per fermare la speculazione in atto e adeguare il prezzo del latte alla stalla per salvare i 26mila allevamenti sopravvissuti in Italia ma difficoltà si registrano anche per le coltivazioni. In Italia sono praticamente raddoppiati i costi delle semine per la produzione di grano destinato a pasta e pane per effetto di rincari di oltre il 50% per il gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni ma ad aumentare sono pure i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti che arrivano anche a triplicare, secondo l’l’analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che gli effetti del balzo dei costi energetici colpiscono l’intero settore, dai campi alle serre.
Nonostante questo il grano tenero per il tradizionale cornetto è stato sottopagato agli agricoltori e negli ultimi 4 anni si è passati da 543.000 ettari coltivati in Italia agli attuali poco meno di 500.000 ettari per una produzione di circa 2,87 milioni di tonnellate con l’aumento della dipendenza dall’estero che ha raggiunto addirittura il 64% del fabbisogno, sul quale ora pesa il calo delle produzioni in Russia e Ucraina per effetto del clima. Un chilo di grano tenero in Italia è venduto a circa 32 centesimi mentre un chilo di pane è acquistato dai cittadini ad un valore medio di 3,2 euro al chilo con un rincaro quindi di dieci volte, tenuto conto che per fare un chilo di pane occorre circa un chilo di grano, dal quale si ottengono 800 grammi di farina da impastare con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito.