Mancano pochi giorni al termine dell'anno scolastico 2023-24. Chissà quanti alunni fanno riflessioni per descrivere e riportare i sentimenti e le sensazioni provare in relazione alla fine di questo anno durante il quale gli studenti hanno certamente fatto sacrifici e ci hanno messo dell'impegno. E perché no, anche i genitori. Sull'argomento ho chiesto aiuto a Benedetta de Vito, affinché scrivesse di bravura, come sa fare lei, un bel pezzo a riguardo. Buona lettura!
Quando il sole, stanco del suo lettuccio di stelle, comincia appena a sorridere all’orizzonte e il cielo sbiadisce nel primo lucore del mattino, sono già bordo della mia Cinquecento bianca, sfrecciando (si fa per dire) su una delle tante vie consolari che mi conducono a un grande supermercato. Il parcheggio è ampio e il bar interno sempre affollato, a quell’ora, da gruppi e gruppetti di ragazzi con zainetti, libri aperti sui tavolini, biro tra le labbra e cellulari sempre al pezzo. Alcuni ragazzi portano alle orecchie o al naso gli orecchini di brillanti o i cerchi da pirata (che usavo io da ragazza) e le ragazze hanno un orecchino al naso, tatuaggi sulle braccia e a volte sono tanto mascoline che sparano cattive parole che mi fanno arrossire le orecchie. E mi pare, nel guazzabuglio in cui sono immersi, che il fuori sia lo specchio del dentro e mi sembrano tanti venusiani appena scesi sulla terra e la capsula parcheggiata accanto alla mia automobile …
Ma via, Benedetta, non ti pare di esagerare, dai, rivolgi loro la parola e vedrai, vedrai, ne avrai di sorprese. Così a uno di loro, i capelli rasi sul collo, un paio di e tatuaggi e un orecchino, domando: “Sta per finire la scuola, sei contento?”. Mi guarda come se avessi, io, al posto delle gambe una coda a scaglie verdi e poi, trasecolando (lo vedo) biascica qualcosa che non capisco. Uno dei suoi compagni, con una maglietta che ha su un mostro orrendo, mi traduce: “A professoré, dice che è contento”. Rispondo, educata, che non sono professoressa e che la nostra non sarà una interrogazione ma una conversazione. Bevo un sorso. Si guardano e uno abbozza un sorriso e si siede davanti a me. Pian pianino mi si fanno in circolo anche altri e alcuni di loro, che da lontano, mi parevano minacciosi, sciolti in un sorriso infantile, sembrano tornati terrestri. “Ah professoré – fa uno piuttosto corpulento – annà a scola nun ce piace, ma sta’ assieme sì”. Oh bene, sorrido mentre anche qualche ragazza mi fa cerchio intorno e due di loro hanno l’ombelico scoperto e io dico: “Ma così vai a scuola, con la pancia al vento?”, rido. “Perché?”, risponde una delle due. E io: “Mah, non so, se dovessi interrogarti, non potrei fare a meno di fissare l’ombelico…”.
Tutti ridono, il ghiaccio è rotto. “E’ vero!”, esclama uno e un altro mi fa l’occhietto. La ragazza intanto ha infilato un giubbetto che le copre pancino e ombelico e poi s’avvicina e mi fa, pensosa, solenne, diventata quasi una sibilla: “Ah professoré”. E traduco in italiano perché la frase è tanto bella e profonda che a metterla in dialetto, con buona pace di Belli e di Trilussa, diventa come piccina. E dice: “Professoressa, a noi la scuola non ci piace, ma ci piace che finisca perché poi riaprirà. Mica ci siamo dimenticati quanto era brutto stare senza e soli a casa e chiusi dentro”. Sospira. Sì, hai ragione, rispondo e mentre tutti corrono via perché è ora di entrare in aula, in un cinguettio di saluti, penso a me che ancora adesso ho il cuore ai giorni di scuola e mi ricordo, uno per uno, i visi delle compagne di classe, le voci delle professoresse e la gioia di tornare a scuola a ottobre, dopo le vacanze. Proprio come loro, i ragazzi che ho incontrato oggi. Il cappuccino è finito, la storia pure e con una riverenza vi regalo un almanacco del Leopardi. Lui pure sapeva che i ragazzi, con gli orecchino o senza, non cambian mai…
Testo di Benedetta de Vito